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IL MULINO ROMANI

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Nella ricostruzione storica della storia dei mulini del Gran Sasso sono emersi documenti dall'Archivio di Stato di Teramo che descrivono le problematiche, le mentalità e le soluzioni nella costruzione di un mulino all'inizio dell'800. Nel 1806 una disposizione sovrana stabilisce l’insieme dei permessi e delle autorizzazioni che occorrono per poter costruire un nuovo impianto idraulico di macinazione. Questo iter burocratico non ha, come lunghezza e complessità, molto da invidiare a quelli attuali: si può dire infatti che, in genere, passa almeno un anno dal primo atto formale all’inizio dei lavori. Ci sembra interessante descriverne le varie fasi prendendo ad esempio un caso-tipo durante l'amministrazione francese; anche se il procedimento non subirà particolari modifiche col succedersi dei governi (francese, borbonico e, infine, italiano).

Il primo passo consiste nella richiesta di autorizzazione per la costruzione di un mulino al Ministro dell'Interno; spesso la richiesta è fatta per un mulino e una gualchiera, poiché entrambe le macchine vengono azionate con l'acqua dello stesso fiume. Gli uffici ministeriali informano l'Intendente della provincia e questi, a sua volta, prepara dei manifesti manoscritti in cui si annuncia la trasmissione della richiesta di permesso con tutti i dati significativi (il nome del richiedente, il luogo dove si vuole edificare il mulino, le acque del fiume da cui si attingerà acqua e così via).

I manifesti devono essere affissi nel palazzo municipale della capitale della provincia, nel capoluogo, nel comune dove si vuole costruire e nei comuni vicini: l'affissione deve durare trenta giorni e i manifesti devono essere rinnovati ogni dieci giorni, per permettere a chiunque abbia qualche opposizione di presentarla. Se non ci sono opposizioni, dopo il rapporto dell'Ingegnere del Corpo Reale dei Ponti e Strade (talora l'Ingegnere in capo, talaltra quello del Dipartimento), il cui compito è controllare la proprietà dei terreni, lo stato del fiume, descrivere la situazione geomorfologica e, infine, dare un parere positivo o negativo, il Ministero dell'interno autorizza la costruzione ; in alcuni casi è ancora conservato il decreto di autorizzazione del Re.

Anche in caso di contestazione il parere determinante è quello dell'Ingegnere del Corpo Reale dei Ponti e Strade.

In genere le opposizioni riguardano delle servitù preesistenti o da formarsi al momento della costruzione del nuovo impianto, ad esempio perché le acque del canale di rifornimento del mulino devono passare su un terreno non di proprietà del richiedente. Spesso tuttavia dietro queste opposizioni si cela l’evidente volontà di lasciare al mulino esistente il monopolio della macinazione della zona.

Rilievo topografico

Numerosi sono gli esempi di questi conflitti, ma ce ne sono alcuni che descrivono meglio di altri il dedalo di interessi, gelosie e ripicche che si nascondono dietro le richieste di autorizzazione , gli esposti e le suppliche ai vari gradi dell’amministrazione pubblica. Uno estremamente rappresentativo, anche per la notorietà dei soggetti coinvolti, è quello dei Fratelli Romani e di un loro mulino che sorgeva lungo il corso del Mavone nel territorio di Castiglione della Valle e che non esiste più.

Nella primavera del 1809 i fratelli Giuseppe, Donato e Pietro Romani, membri di un’importante famiglia di Colledara, decidono di costruire un mulino su un proprio terreno nel territorio di Castiglione della Valle, richiedono l’autorizzazione e il 30 aprile depositano i manifesti in diversi comuni del Distretto di Penne, a Colledara e a Teramo.

Meno di un mese dopo il Direttore dell’Amministrazione della registratura e de’ demani fa un esposto all’intendente della Provincia chiedendo di specificare se la domanda dei Romani è appoggiata dall’Intendenza: Ognun vede, Signor Intendente, - scrive il direttore- che la fabrica di un nuovo molino in molta vicinanza a quello del Demanio, recherebbe de' grandi pregiudizi ai Reali interessi, ed il dovere della mia carica richiede, che io sia informato appieno se i suddetti fratelli Romani ideati una tale fabrica con permesso dell'Amministrazione (1). Egli vuole rispondere al Ricevitore di Penne che gli ha posto il problema e, continua con una bella formula di giustizia amministrativa, paragonando (...) le ragioni dei Particolari con quelle dei Reali interessi (...) dare un retto giudizio.

L’Intendente non rimane convinto dai motivi della protesta e risponde che, in primo luogo, la domanda dei Romani era stata formulata seguendo le indicazioni legislative e che, soprattutto, l’opposizione si credeva di non aver luogo non esistendo più privilegi e diritti proibitivi. Egli invia comunque l’Ingegnere in capo dei Ponti e Strade Carlo Forti con il compito di riconoscere il locale, sul quale si intende costruire il molino, il sito del Capoformale, per quali luoghi si voglia far passare l'acquedotto, se appartenente a particolari, o a Reali demanii, e finalmente se le acque di detto fiume possano essere ridotte a canali di navigazione. Il Direttore dei demanii è avvertito in anticipo della missione di Forti perché lo possa accompagnare e mostrargli quello che secondo lui costituisce un pregiudizio agli interessi del Re.

Il giorno in cui Forti arriva però il Direttore non c’è, né viene mandato un suo rappresentante. L’ingegnere si mette comunque al lavoro: rileva il punto del fiume in cui deve essere derivata l’acqua, i luoghi in cui deve passare il formale, il punto in cui dovrà sorgere l’edificio e, a conclusione del suo studio, disegna una piantina che allega al rapporto scritto indirizzato all’Intendente. Forti è perplesso per l’opposizione dei demanii: infatti, l’acqua verrà presa sottocorrente rispetto al formale del mulino demaniale e, dunque, non diminuirà la capacità delle sue macine né dovranno essere modificate le rive del fiume creando un eventuale danno per l’irrigazione. Ma soprattutto quello che lo lascia perplesso è il fatto che il mulino demaniale sia ormai inoperoso da molto tempo: a me sembra - scirve infatti - che il danno maggiore, che si può soffrire da demanii, sia quello di far rimanere inoperoso il molino per mancanza di accomodi, e di far correre il fiume, dove le [presenze] degli ostacoli lo portano a fluire, senza deviarlo dalla ripa propria con gli opportunio ripari, per mancanza di quali succederà probabilmente l'intera perdita del molino.

Il mulino demaniale è dunque distrutto e lo descriverà ancora meglio l’Intendente della provincia in una lettera più tarda al Ministro degli Interni: ...il capoformale [è] distrutto - scrive -, ed il molino chiuso, inoperoso ed inaffittato da più anni per essersi consumata la mola, e più di tutto perché la ruota palmata pescava nell'acqua per effetto del ringorgo del fiume nei tempi di piena.

Egli conclude la lettera chiedendo la concessione del permesso per i fratelli Romani: da quanto ho avuto l'onore di rassegnarle sembrami, che la opposizione de' Demanii non ha d' alcuna parte fondamento, sia perché non possono essi vantar più dritti proibitivi, sia perché col nuovo molino da costruirsi non si diminuisce affatto il corpo dell'acqua, giacché quella che serva per animarlo, va ad essere presa sotto corrente del Capoformale del molino di detti Demanii non potendo nemmeno rimaner danneggiata la sua ripa dalle opere da farsi nel Fiume, non avendo i fratelli Romani bisogno di queste perché la Ripa opposta verso l'indicato molino inutilizzato è stata qui attaccata dal fiume. Sottopongo quindi a V. E. il mio parere di potersi permettere la domandata costruzione di un nuovo molino ai fratelli Romani, potendo anzi questa opera [essere] di grande comodo e vantaggio a tutti gli abitanti che sono in quelle adiacenze. (2)

Il 9 settembre dello stesso anno, infine, viene pubblicato il Decreto Reale per la costruzione del mulino; com’è d’uso, esso si compone di tre articoli, il primo contenente l’autorizzazione, il secondo con una clausola di assicurazione per il governo che non è tenuto a versare rimborsi nel caso in cui il mulino debba essere distrutto perché impedisce la costruzione di strade o ponti, e, infine, il terzo, con l’incarico formale al Ministro dell’Interno di eseguire il decreto. Nel tardo autunno del 1809 si comincia dunque la costruzione del nuovo mulino e le resistenze delle autorità locali, dettate dalla volontà di mantenere un ormai abolito monopolio, sembrano finalmente superate. Nella primavera dell’anno successivo però tutto si blocca nuovamente: gli affittuari del mulino di Castiglione della Valle Francesco di Ciavardone e Giuseppe Odovando inviano una rimostranza alla Reale Intendenza per fermare i lavori. Sembra infatti che il terreno dei fratelli Romani sia sottoposto ad un vincolo di acquisto che vi impedisce la costruzione dei mulini, trappeti o gualchiere.

Dietro il motivo formale si legge però chiaramente la vera, e ormai scontata, ragione di protesta: il secondo eletto del comune di Castiglione della Valle, Salvadore Antenucci, scrive infatti all’Intendende una lettera in cui spiega tutti i motivi che devono portare a bloccare i lavori e, ad un certo punto, sottolinea: è pure inquistionabile che il molino che vogliono edificare i fratelli Romani, è in distanza meno di un miglio dall'altro del comune di Castiglione, e meno di un quarto di miglio dall'altro molino demaniale di Castagna, cosicché il nuovo molino de' fratelli Romani, senza dubbio farebbe mancare la rendita al Comune di Castiglione, ed ai Reali Demanii a detto comune non avrebbe poi come supplire alle spese. Il Decurionato si è riunito e ha deliberato che se il comune di Castiglione può proibire la costruzione allora deve chiamare in giudizio i Romani, ma, aggiunge lo scrivente, di questa risoluzione decurionale non può tenersene alcun conto, perché il Decurione Domenicantonio Liberatore è socio de' fratelli Romani; l'altro Decurione Domenicantonio Tullj è cognato in terzo grado de’ stessi Romani: i Decurioni Giuseppe Ciapparoni e Ruggiero Giurio sono poi compagni de' Romani medesimi. Per tali motivi essi non hanno deliberato nella riunione di doversi inibire la fabrica del nuovo molino. Dunque, in questa storia, i motivi economici si intrecciano con i legami familiari, anche se ciò non può sorprendere data l’importanza della famiglia e la scarsa estensione del paese.

La situazione di stallo è sbloccata da un’azione del sindaco che, nell’attesa di una decisione dell’Intendenza, decide di valersi del secondo articolo della deliberazione reale e di abbattere una struttura costruita dai Romani che impediva a suo dire il passaggio dei cittadini. Probabilmente nel marzo del 1810 i fratelli Romani inviano un esposto direttamente al Ministro dell’Interno chiedendogli di intervenire per dirimere la situazione: Eccellenza, i fratelli Romani di Colledara Provincia di Teramo umilmente l'espongono, come fin dall'antipassato anno previa tutte le solennità volute dalla legge costruirono essi un Molino sul Fiume Mavone. Piacque al Comune di Castiglione la Valle per privati fini di qualche cittadino devastare il formale[...] ed indi produrre l'impedimento sul pretesto di avere i costruttori intersecata coll'acquedotto la pubblica strada. Cercarono i Supplicanti di smentire col fatto una tale assertiva, e chiamarono in contesto la perizia fatta dal Signor Ingegnere Forti [...]. Tutto fu inutile, giacché il Molino è rimasto inoperoso, e la spesa erogatane perduta. i supplicanti intanto non volendo restar vittime dell'altrui invalida, nello scorso anno diressero a S.E. loro supplica, domandando la verifica dei fatti per indi decidersi se essi possono, o no attivare il loro Molino. S.E. si compiacque ordinarne l'informo, ma finora .... disposizione non ha prodotto alcun risultato. Volendo ora aggiungere nuovi motivi a que' di già addotti per l'impedimento, si vuol far valere un supposto patto col Real Demanio di non poter essi costruire molino, Gualchiere, o tutt'altro. Eccellenza, i cavilli, ed i raggiri non sono le risorse del tempo. Il Governo troppo giusto saprà ben distinguerli dalla verità. Gli Oratori senza andar mendicando vani pretesti si fanno un onore di sottomettere a V.E. copia legale dell' [atto] di Compra di alcuni beni demaniali dal quale potrà rilevare che non è stato ad essi proibito di costruire molino, o tuitt'altra cosa simile sopra i beni da essi acquistati. La risposta dal Ministero non si fa attendere e in maggio i fratelli Romani vengono autorizzati ad usare il loro mulino col solo obbligo di rifare il formale e averne cura onde non si arrechi danno alcuno ai vicini ed alla popolazione. Ma più di un anno dopo è ancora tutto al punto di prima e nuovamente il ministero deve intervenire sottolineando in un appunto all’Intendente la propria meraviglia per la mancata esecuzione delle disposizioni e l’invito a non ritardarla ulteriormente.

Ed è solo il tre novembre 1811 che finalmente Donato Romani ha l’autorizzazione a rendere macinante il suo mulino da grano dietro l’impegno di costruire due ponti laddove la derivazione del fiume interseca la strada, di affiancare la strada con dei fossi e di mantenerli a loro spese.

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NOTE

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1. Questa e tutte le successive citazioni di documenti sono in Arichivio di Stato di Teramo, Intendenza francese, B.31, fasc.474

2. Lettera al Ministro dell’Interno, 18 agosto 1809 ; in AST, Intendenza francese, B.31, fasc.474

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